VACANZE ESTIVE DI UNO SCOLARO
di Mario Magagnin
Ricordo ancora vivamente la trepidante attesa che precedeva la partenza per l’alpeggio. Erano gli ultimi giorni di scuola, i più belli per uno scolaro, e all’allegria per le vacanze vicine, si accompagnava l’entusiasmo per l’avvtentura che mi attendeva. In famiglia non si parlava d’altro. Un frastuono di voci e di rumori colmava quei giorni. Gli ultimi preparativi ci impegnavano mente e mani. Occorreva terminare gli ultimi lavori in campagna; ognuno si dava un gran daffare e anch’io aiutavo. C’era da recuperare l’ultimo fieno, dare il solfato alle viti e un altro colpo di zappa al granturco e alle patate. La sera che precedeva la partenza lustravamo con cura i campanacci e controllavamo i lumi a petrolio. Quella notte mi sentivo eccitato, impaziente, quasi stordito dal tintinnio incessante dei campanacci e dalla frenesia che accompagnava la partenza. L’indomani, mio nonno era il primo ad alzarsi. Voleva lasciare la stalla in ordine e pulire per bene le mucche e i vitelli per esibirli con orgoglio lungo il passaggio per il paese di Tovena. Era sempre il nonno che, con voce forte e decisa, impartiva ordine alle due mucche che trainavano un vecchio carro stridente, carico dei nostri averi: alcuni animali da cortile, un cassettone pieno di farina e poche altre cose, indispensabili. Le ruote del carro, di legno e lamina di ferro, che sbattevano lungo il selciato, quasi soffocavano il suono cadenzato dei campanacci. Polli e galline si dimenavano sul carro in maniera chiassosa e disordinata, forse spaventati da quell’inconsueto dondolio. I loro schiamazzi e il grugnito del piccolo maiale si confondevano alle mie risate. La nostra allegra comitiva avanzava in questo modo, rumoroso e un po’ disordinato, fino in cima al Passo. Il vociare di un’intera famiglia in cammino, carica di vettovaglie e animali a seguito, rompeva il silenzio di quella meravigliosa montagna. Quel faticoso trasferimento estivo in Val de Scòa veniva incitato dai malgari del versante bellunese che ci scorgevano dalla valle e ci accoglievano con entusiasmo in quella piccola comunità di gente povera di averi, ma ricca di valori. Portavano le mani alla bocca per poter meglio diffondere il suono della loro voce. Il loro richiamo, chiaro e tonante, echeggiava nella valle, e accompagnava con calore il nostro passo. La sera, dopo la solita polenta, ci sedavamo sul prato, davanti alla casera, per gustarci il tramonto. La malga, situata su un colle, offriva la possibilità di vedere attraverso la gola del S. Boldo i paesi di Tarzo e Corbanese, fino a Conegliano ed oltre e, sull’altro versante, Trichiana, Mel, il Piave e la catena delle Dolomiti. Guardavo il nonno con mezzo sigaro in bocca: sembrava lo mangiasse. Qualche volta lo fumava con la brace all’interno della bocca e mi raccontava che lo aveva imparato al fronte, durante la Grande Guerra nel Grappa, per non far vedere la luce al nemico. Aveva combattuto per tutti e tre gli anni, dal ‘15 al ‘18, conducendo, per tutta la durata della guerra, sempre lo stesso mulo, del quale -purtroppo- non ricordo il nome. Nelle giornate piovose mi portava alle malghe dei suoi amici bellunesi. Parlavano delle loro bestie e dell’andamento della stagione, ma finivano immancabilmente col ricordare la Guerra Granda e la nuova strada del Passo S. Boldo, percorribile anche con il carro, che essa aveva portato. Qualora il rumore scrosciante della pioggia desse voce al fragore dei temporali, la nonna accendeva la candela della Candelora, custodita con devozione. Al suo fioco lume ci conduceva nel fienile, attraverso la cigolante scala a pioli, e lì si recitava il rosario, mia nonna conosceva tutti i Santi Misteri. Sotto di noi, le mucche, ruminando, facevano suonare i campanacci con ritmo: sembrava accompagnassero con la musica la nostra preghiera. Intanto, fuori, l’allocco scandiva la notte con gorgheggi armoniosi. All’alba c’era una quiete meravigliosa fino al risveglio della natura e della nostra famiglia. Allora un tripudio di suoni e di rumori coloriva la giornata. Il canto dei galli sovrastava il timido scricchiolio di qualche asse di legno calpestata ai primi risvegli e il crepitio del fuoco appena acceso. Il cinguettio festoso degli uccelli accompagnava con dolcezza la fatica del nostro lavoro. Il fluire del latte spremuto nel secchio seguiva il ritmo regolare che braccia robuste e precise impartivano alla falce e alla pietra per affilare. Sono chiare nella mente le canzoni che cantavo con mia zia, mentre pascolavo le mucche o rastrellavo il fieno: nella valle si formava un coro unanime; cantavamo tutti, piccoli e grandi, stanchi, ma cantavamo. Il sibilo caratteristico della carrucola che precipitava velocemente lungo il filo a sbalzo arricchiva nuovamente la quiete delle dolci giornate montane. Lo schiocco violento, che seguiva la lunga caduta, faceva vibrare l’aria e negli anziani risvegliava ricordi di rumori sepolti dagli anni, ricordi di guerra ancora accesi nel profondo dei loro cuori. Talvolta lo schianto del fieno in esubero era così violento da scaraventare la carrucola lontano, nei prati. Quella sera al posto del Rosario si recitava il Sequeris, preghiera con la quale si sperava di ritrovare le preziose carrucole. Ricordo quando scendevo al Passo per barattare ricotta, burro e formaggio in cambio di qualche toscano, olio e sale. Ricordo la viva partecipazione di questa piccola comunità alla Santa Messa, la domenica. Ricordo i rituali scaramantici, che scandivano le giornate di quella semplice gente di montagna, che ben si confondevano alla loro salda fede a Dio. Talvolta accompagnavo il parroco e il sacrestano nella benedizione delle casere. Assistevo al brusio della gente che subito si quietava alla voce solenne del prete, che per ognuno aveva parole di conforto e di ristoro. Ancora ricordo i profumi della cucina della nonna, le voci stanche, i racconti dei vecchi, il silenzio delle montagne. Ricordo la mia allegria di bambino mentre correvo a perdifiato lungo quelle verdi valli e il mio silenzio attento ad ascoltare i consigli del nonno. Fino alla Seconda Media ho vissuto con naturalezza il trasferimento estivo, anno dopo anno, così come spontaneamente si susseguono le stagioni, ignaro che soli 4 anni dopo sarei partito come emigrante e che quel tempo felice sarebbe rimasto per me solo un prezioso ricordo. Nei lunghi anni di lontananza ho sentito accrescere dentro di me il desiderio di tornare su quella meravigliosa montagna. E ci sono tornato. Sono partito da Tovena a piedi, percorrendo la stessa strada di allora. Non ho più udito suoni di campanacci, ma solo rumori di macchine e strombettii nelle gallerie. Salendo, ho sentito silenzio attorno a me. Non ho incontrato nessuno. Il canto degli uccelli si è affievolito; la sorgente gorgogliante, dove spesso mi fermavo a bere, ha lasciato silenziosamente il posto ad un po’ di muschio e rovi. Non ho più trovato il sentiero di allora; i prati da pascolo e da sfalcio sono diventati boschi. Ancora silenzio: ho sentito solo il battito del mio cuore e il mio respiro. Quante cose sono amaramente cambiate! Della malga rimangono solo le mura. Il tetto è crollato. I maestosi ciliegi selvatici che troneggiavano davanti alla casera e ospitavano la mia altalena di bambino, sono secchi. Solo un po’ di vento rompe quel silenzio, un silenzio ancora più grande della desolazione che mi ha circondato. Mi sono guardato attorno: ho cercato delle pietre un po’ particolari o concave con cui costruivo i miei castelli d’infanzia, ma ora sono nascoste gelosamente da ortiche e piante selvatiche. Ho fatto alcuni passi per andarmene, ma qualcosa mi ha trattenuto. Mi sono voltato verso ciò che è rimasto delle mie estati passate; la mia preghiera sincera, declamata ad alta voce e rivolta ai miei nonni, ha spezzato quel doloroso silenzio. Ho cercato la pietra dove spesso mi sedevo. Seduto, immerso nei miei ricordi, ho promesso a me stesso che avrei fatto qualche cosa per questa montagna. E così ho fatto.
Nel periodo delle mie ricerche ,ho avuto modo di avvicinare numerose persone che mi hanno dato una manoa portare a termine questa fatica ; vorrei qui ringraziare tutte singolarmente ,indipendentemente dall apporto dato .
Ho però particolari debiti di gratitudine nei confronti di Modesto Bonan ,di Loris Bernard, di Corrado Balzan del conte Brandolino Brandolini d Adda di Diego Faraon , gestore del ristorante Laris al S.Boldo , di Don Livio Spader , parroco di Tovena e di Fabiop Budel , per la collaborazione disinteressata e per avermi concesso di riprodurre foto di loro proprietà.
Un grazie alla biblioteca civica di seren del grappa per il prestito di documentazionee dell architetto ADRIANO ALPAGO NOVELLO che , memore delle ricerche fatte sul San Boldo dal nonno Luigi , medico per un periodo a Cison di Valmarino , e dal padre Alberto ha permesso l uso di materiale fotografico scattato da quest ' ultimo nei giorni immediatamente sucessivi all ' armistizio di Villa Giusti , durantei lavori di ripristino della strada danneggiata per ritardare l' avanzata italiana .
Ho voluto riportare sotto queste foto , la didascalia originaria usata dall' insigne urbanista e studioso , allora ufficiale del genio , nel bellissimo album di guerra parzialmente pubblicato nell' opera : Alberto Alpago Novello ,TEMPORE BELLI , edizioni DBS, Rasai di Seren del Grappa ,1995.
Grato di cuore , ricordo qui gli incoraggiamenti avuti da parte di alcuni amministratori dei comuni di Cison e di Trichiana .
Alla fine , ma non da ultimo , sono riconoscente a Silvio De Boni (dbs) ,amico ed ediytore , che mi ha concesso un' altra volta la sua fiducia ed il suo appoggio , fondamentalmente per pubblicare questo opuscolo .
MARCO RECH
il Passo San Boldo e la sua storia (tra storia e leggenda)
Il passo San Boldo l'aspro sentiero chiamato il "canale della scala" o in dialetto canàl de san Bòit, importante strada di comunicazione fra le Prealpi trevigiane e la Valbelluna, divenne una strada carrozzabile, costruita in 100 giorni dal genio zappatori austriaco sotto il comando dei colonnello Nikolaus Waldmann nell'inverno 1917-18, col lavoro dei prigionieri russi e delle donne di Tovena. |
26 Agosto 2006
Finalmente il caldo mi spinge a riprovare in salita un tracciato che diversi anni fa avevo gia' percorso in discesa ... Forse anche troppo rapidamente.
Parto da Tovena e cerco tra le case del borgo vecchio la stradina che sale al Paso di San Boldo che si chima strada della caldella , tenendosi sul versante collinare destro rispetto alla strada
asfaltata classica.
Non ci metto molto a ritrovarla e a sua volta lei, la stradina asfaltata, non mi fa attendere piu' di tanto per divenire una buona sterrata ed infilarsi dritta in bosco.
Coccolato dal refrigerio dell'ombra del bosco, salgo lento fino ad una prima coppia di casere (una e' piu' che altro un ex pollaio) dove mi fermo per un paio di foto.
Proseguo disturbato appena da un paio di macchine che salgono verso altre casere, poco oltre la mia prima sosta.
Il clima in bosco e' decisamente buono, accogliente, non sento il caldo e mi fermo per qualche altra foto. Ben presto mi ritrovo in posizione panoramica e riesco a sbirciare verso Tovena... Sono
salito un bel po!
La strada per il Passo San Boldo sembra quasi piatta vista da qui!
Proseguo. La pendenza diminuisce e arrivo quasi in piano in localita' casere Jal, dove incrocio il sentiero CAI 990.
Qui la scelta si fa dura: proseguo verso San Boldo e scendo per asfalto o provo ad imboccare il sentiero 990?
Naturalmente vince la parte di me piu' curiosa: salto in sella e inizio a scendere il 990!
L'inizio e' piuttosto piacevole, il sentiero e' largo e scende bene, senza troppi scossoni. L'inizio... Infatti poco dopo il tracciato si allarga ed un vecchio tavolo con panche segna la fine della
pacchia: il sentiero si fa sentiero... Voglio dire, che si inizia a comportare da sentiero di montagna.
Stretto, con pendenza piu' forte e soprattuto con fondo roccioso ben condito di salti... In parole povere bici in spalla e via a piedi!
Bello, un gran bel sentiero da camminare tutto d'un fiato! Mi fermo appena per un paio di foto e proseguo ppoi ancora quasi di corsa.
La vista sulla strada del passo da' qualche volta un attimo di vertigine, non e' un sentiero sul quale rilassarsi, specie se si tiene una mtb in spalla.
Alla fine (e devo ammettere che mi spiace un bel po'), arrivo alla strada asfaltata, presso la fontana che, venendo da Tovena, si incrocia sulla destra, poco prima del primo tornante.
Una breve sosta per rinfrescarmi.
Nuovamente e' il momento di decidere: rientrare subito o provare a salire un altro po'? Ovviamente la seconda! In fondo e' oramai mezzora che tengo la bici sulle spalle, un paio di pedalate ci stanno
bene!
Cosi' eccomi di nuovo in salita, lungo lo sterrato che collega il primo tornante al terzo. Qui, sosta all'osteria: un meritato panino, una birretta e 4 chiacchiere con 2 ciclisti che intanto si
apprestano ad affrontare i restanti 15 tornanti... Un veloce piovasco li blocca temporaneamente, ma presto ripartono.
Per me e' invece il momento di percorrere la strada asfaltata del rientro: terzo, secondo, primo tornante, rettilineo, tutta discesa fino a Tovena.